domenica 19 agosto 2018

Cortocircuito

Alla fine dunque ci siamo. Assisto impotente ad un appiattimento culturale per me inverosimile. I fatti di Genova me lo mostrano crudamente. Schiacciati sul presente siamo incapaci di capire che gli antagonisti di questa assurda vicenda siamo prima di tutto "noi" (non i politici, non gli imprenditori), noi comunità di cittadini italiani con le nostre scelte ed il nostro modo di costruire priorità. Dimentichiamo perché le autostrade sono state privatizzate, dimentichiamo la sete di denaro dello Stato, dimentichiamo che siamo sempre stati Noi ad avvallare la costruzione di quel ponte, dimentichiamo di guardarci allo specchio e riconoscere nel nostro egoismo il vero colpevole. Preferiamo alleggerire la coscienza additando colpevoli. Fermarci lì e riverberare pensieri di file di improvvisati quanto fieri ingegneri, medici, e avvocati promotori di soluzioni estemporanee figlie dell'italica arte di arrangiarsi. 
Resto con un senso di inferiorità, una sensazione di arretramento culturale dove valori come comunità, merito, scienza, vengono soppiantate da individualismo, fede e assolutismo, dove tutti sono convinti di poter far tutto, meglio degli altri. Mi chiedo cosa sarà di me o di quanti non si arrenderanno alla semplice evidenza dei sensi, alla superficiale quanto ingannevole evidenza dei fatti.

lunedì 23 aprile 2018

XVIII legislatura: 3 cose che ho visto e 2 che succederanno


Il PD ha toppato di brutto. Ha pagato la distanza tra la predica e la realtà. Come già scrissi (Sfida alla new-economy: la missione impossibile della sinistra progressista) all'indomani della scissione (altra operazione rivelatasi tanto inutile quanto dannosa) ha ammirato troppo quelli che ce la fanno, disprezzando tutti gli altri, dicendogli implicitamente che erano degli sfigati se non riuscivano a saltar fuori dalla crisi.
Non credo che il pd sia perduto, o che si debba rassegnare alla marginalità. Ci sono sicuramente spazi di manovra, ma sono piuttosto convinto che debba ricominciare da una sana opposizione e soprattutto dedicarsi alla sua comunità. Quest'ultima rimasta sola a difendere (più o meno convintamente) le convinzioni dei propri leader è ora sfibrata e spinta al silenzio, ma abituata al confronto con l'opinionismo disilluso della quotidianità. Un balsamo detergente decisamente caustico, mentre ancora si insiste a frequentare il Vinitaly o il Salone del Mobile quando invece sarebbe più utile partecipare alla sagra dell'asparago, o alla fiera di campagna di Canicattì

-La comunicazione di Salvini
Passare dal 5 al 17% è un impresa. Esserci riuscito, trasformando un partito a trazione territoriale in uno nazionalista, è qualcosa che dovrebbe rincuorare gli addetti ai lavori impegnati nel imbastire la riscossa del partito democratico o di quella sinistra radicale ormai schiacciata verso l'inutilità.
La spasmodica ricerca alla vicinanza della quotidianità dei cittadini, al fine di generale la convinzione "lui è come me, vive i miei problemi, li conosce, li rappresenta" è un meccanismo consolidato nelle campagne elettorali. Ci provano in tanti ci riescono in pochi. Il fatto che Matteo Salvini ci sia riuscito con costanza, dedizione, ed intelligenza comunicativa è un elemento di analisi. Non sono qui a tesserne le lodi politiche o ideoligiche ma ad osservare che partendo da molto lontano ha spasmodicamente ricercato in ogni apparizione pubblica e digitale (ogni post ha spinto coerentemente le sue convinzioni) di sbandierare un'aurea di normalità. La compagna che stira, i compiti del figlio che non si capiscono, la foto della pizza (MAL COTTA) fatta in casa, sono messaggi forti capaci di dare spazio alla quotidianità ed offrire sponde per veicolare un messaggio politico creando empatia. L'aspetto più difficile era creare coerenza tra il messaggio e l'attore:  lui e probabilmente il suo team ci sono riusciti brillantemente. La miglior strategia comunicativa di questa campagna elettorale fatta per calamitare un particolare contesto di disagio. Ci sono marchi importanti (mi vengono in mente Ceres o Che banca)  che usano strategie simili e raccolgono altrettanti risultati. Si signori siamo tutti dati e questo non è un male assoluto.

-Affermazioni a 5 stelle
Vedere il Dibba, un secondo dopo la pubblicazione dei primi exit pool, affermare con occhi pieni di soddisfazione e sguardo sempre più greve che "tutti i partiti dovranno venire a parlare con noi, utilizzando i nostri metodi di trasparenza" mi ha inquietato parecchio. I motivi sono due:
1- l'utilizzo del voto come consacrazione di una superiorità intellettuale/culturale che in un regime democratico non ho mai visto sbandierata e così convintamente utilizzata da nessuno, nemmeno da quella sinistra di epoca bertinittotiana (che ripudiava la guerra con girotondi e crisi morali), dal odiatissimo Renzi e men che meno da Berlusconi o Salvini.
2- la minaccia dei metodi. Si potrebbe fare facile ironia su parlametarie o programmi scritti con l'inchiostro simpatico ma è evidente che questi signori hanno difficoltà ad accettare qualsiasi giudizio che sia diverso dalle loro convinzioni. Depositari di una verità assoluta che ben si accompagna con l'ipocrisia del cittadino italiano: tutti eroi a parole, l'unica cosa che sembra preoccuparli realmente è evitare di cadere nel mediocre quanto diffuso convincimento "è tutto un magna magna". Quando si renderanno conto che la democrazia parlamentare è fatta di convinzioni, negoziazioni ed opportunismo spero la amino ancora.

Succederanno se non stanno già succedendo:
-Passaggi di significato
Prepariamoci, perché sono assolutamente certo che nessuno (il primo sono io) abbia chiaro cosa sia il programma 5 stelle. Nemmeno loro. L'unica convinzione diffusa è che priveranno i parlamentari e la casta di svariati denari. Obiettivo n1: politici più poveri. Vincere una guerra di trascinamento verso il basso ("io soffro devi soffrire anche tu"), che al di la dell'opportunità potrebbe non bastare a riempire le giornate del "governo del cambiamento" che intendono presiedere o costituire con chiunque li appoggi. Ciò diventa sempre più vero se offri la stessa minestra alla Lega o al PD. Lasciamo perdere i redditi di cittadinanza che già si stanno  trasformano in reddito minimo garantito e poi in salario minimo...Credo sarà il governo della quotidianità, dell'emergenza, e che difficilmente riuscirà a concentrare il tiro su questa o quella riforma, piuttosto finiranno a coltivare quella qualità democristiana del tirare a campare…nella speranza o convinzione "che tanto si può fare meglio domani". Nel frattempo ci troveremo dentro un'altra crisi.
Spero di sbagliarmi, ma sono convinto che la bontà degli intenti 5 stelle si riveleranno una cura omeopatica per i mali dell'Italia.

-Transumanze
Quando ho saputo che l'Italia ha candidato la transumanza all'Unesco come patrimonio dell'umanità ho fatto una grassa risata. Grande rispetto per questo rito, un usanza antichissima e rispettabile ma ho la convinzione che i delegati Unesco verranno accompagnati a MonteCitorio e a PalazzaMadama da Fico e Casellati impegnati a spiegare i molteplici movimenti delle proprie assemblee, intente a supportare con le loro azioni questa straordinaria candidatura. Come ho già scritto, ne vedremo delle belle, e non appena un governo si insidierà vedremo così tanti trasformismi che alla fine della legislatura all'Unesco candideremo l'illusionismo.

martedì 21 febbraio 2017

Sfida alla New Economy: la missione impossibile della sinistra progressista

Ammettiamolo, la storia di questa scissione è politicamente incomprensibile. Inutile nascondersi, non si parla di contenuti, proposte o visioni, ma solo di "modi", di atteggiamenti da tenersi tra l'altro solo tra compari. Si, perché se si parlasse di modi per raggiungere degli obbiettivi avremmo una discussione, e invece la discussione non c'è. Resta solo la costernazione di chi da fuori non può capire.
Voglio essere chiaro, dopo aver votato Si al referendum, credevo che questa "crisi interna" fosse una benedizione, un momento dove aprire una discussione programmatica e rispondere alle sfide che il mondo ci mette davanti (sopratutto a noi progressisti), cercando magari di discutere le convinzioni del leader. Di materiale ve ne è molto, e sarebbe stato fantastico trascinare un sacrosanto dibattito interno sui metodi, in uno sui contenuti, discutendo sul come raggiungere cosa, volendo anche senza mettere sul banco degli imputati le azioni di governo.
Si poteva tirare una linea bianca, poche cose perseguibili a cui tendere per dare una risposta immediata a quel mondo progressista al quale sento di appartenete, sfidando quegli schemi consolidati a cui Renzi, nonostante le premesse, sembra essersi particolarmente affezionato.
Dico questo, perché il volo (pindarico) in California "per imparare dai più bravi come creare occupazione, lavoro, crescita nel mondo che cambia" (cit. blog MatteoRenzi) è la tipica risposta renziana che la sinistra che si dice progressista dovrebbe in fase congressuale contestare.
Non si vola da aziende multimilionarie per imparare come frodare le più importanti democrazie occidentali, strappando chissà quali consigli, e magari promesse di investimenti che assomigliano a mance pre o post elettorali. Invece di contestare la loro straordinaria capacità di frodare, sfruttando divisioni e cavilli, si discuta di come imbrigliare queste realtà alle volontà di sistemi democratici (anche sovranazionali, la cui azione redistribuiva sarà sempre migliore di una qualsiasi azione filantropica), o ad esempio si spenda tempo per incontrare gli ordini provinciali degli archetetti che si misurano quotidianamente con procedure di rimborso per i terremotati invece di correre da Renzo Piano, si provi a comprendere la complessità delle problematiche quotidiane con cui un'impiegata si trova da sola ad affrontare, per coincidere il tempo per la famiglia con il lavoro, offrendo qualche soluzione tremendamente concreta.
Oggi, la vera sfida della sinistra progressista è quello di iniziare a contestare i privilegi costruiti della new economy, su cui la stessa sinistra ha costruito le proprie convinzioni negli ultimi vent'anni, raccogliendo forse troppi consensi tra i privilegiati, nella errata convinzione che le briciole della cavalcata verso la ricchezza della Neweconomy sarebbero bastate per regalarci benessere.  La Siliconvalley in ogni dove, è una favola che ormai in troppi pensano avere una brutto finale.
E' il momento di iniziare a riflettere attentamente su cosa la sinistra vuole tutelare. Lavoro e Redistribuzione prima di tutto, non in senso egualitaria, ma democratico, in cui non esistono diritti acquisiti, ma solo doveri che rispettati offrono opportunità e premi. "Ormai troppo spesso in Italia  vogliamo tutto. Nessuno è più educato a pensare che per avere qualcosa prima devi essere disposto ad offrire qualcos'altro in cambio" (cit. Piero Angela). Stiamo per addentranci in un Era in cui tecnologia e lavoro non sono pù sullo stesso piatto della bilancia. La tecnologia sta bruciando lavoro nell'indifferenza della Politica con conseguenze terribili: il dibattitito sulla tassazione dell'utilizzo dei robot, o la tutela dei dati personali da considerarsi una vera e propria risorsa naturale (tassazione dei big data) sono i nuovi argomenti su cui impostare una campagna riformista.
La sinistra democratica deve superare la sua stella polare di Blairiana memoria: quella "terza via" a cui Renzi sembra condannare il proprio partito. Sappiamo già che non funzionerà, perché finirà per aumentare la disuguaglianza, la frustrazione e la disillusione. Per questo mi sarebbe piaciuto che la minoranza si dimostrasse capace di offrire una lettura realmente moderna e sfidante anche per le convinzioni del leader, all'interno del partito, dalle quali costruire un futuro ambizioso. Invece nulla. Rinunciamo a tutto. Tutti offesi, nessuno chiederà scusa. E Noi progressisti perdiamo, ancora una volta.

giovedì 15 gennaio 2015

Terrorismo a Parigi: un problema di Potere

Non mi piacciono per nulla le discussioni, le analisi e molte delle idee che sto sentendo intorno ai fatti di Parigi della scorsa settimana. Rifiuto categoricamente di affrontare la questione come fosse un problema religioso; le discussioni costruite a suon di versetti citando queste o quel Profeta, credo siano utili solo a fare confusione. Non si tratta di un problema di civiltà, che ci vede improbabili dispensatori di fratellanza e dignità. Credo piuttosto che il terrorismo di matrice islamica sia un problema prettamente di potere politico, di esclusione, negazione ed emarginazione che discute quel freddo Potere dello Stato Moderno di controllare la distribuzione di diritti e doveri, che troppo facilmente, spesso disprezziamo, ma di cui non sapremmo fare a meno. Credo inoltre, di non aver ancora davvero capito cosa sia la Libertà, quali vantaggi e quali sacrifici comporti. Però ho trovato in “Libertà Attiva. Sei lezioni su un mondo instabile” di Ralf Dahrendorf, un buon modo per riflettere e rimanere meno solo nelle mie convinzioni.
Di seguito propongo uno stralcio di una bella recensione di questo libro, chissà che possa aiutare... 


sabato 9 marzo 2013

Missione suicida

Longanesi amava ripetere in maniera irriverente che il popolo italiano è sempre in buona fede. In troppi prima delle elezioni di febbraio si aveva aspettative di cambiamento e governabilità, mentre ora ci dobbiamo confrontare con una situazione congelata ed irrigidita dalla ragionevole certezza che non vi è alcuna posizione realmente condivisa, dove il leaderesimo esasperato continuerà ad avere ruolo cruciale e devastante, per un Paese logorato da diffidenza, conflitti generazionali, pessimismo.
Potrei dilungarmi cercado colpe, magari del berlusconismo consumato o nel esasperante antiberlusconismo, ma sarebbe una ricostruzione parziale e forviante. Potrei convincermi che la colpa è del grillismo, ma sarei frettoloso e demagogico. Potrei sostenere che è l'apparato politico la causa scatenate mettendo d'accordo molti, troppi ragionamenti. in troppi anni abbiamo imparato a barrare simbolo con sopra un nome, un sigillo di garanzie che allegriva le coscienze, semplificava e banalizzava la realtà e riconduceva tutto alle scelte di pochi. Eravamo convinti che conferendo fiducia a pochi eletti avremmo potuto esercitare un controllo maggiore, avere la certezza che ciò che stava accadente era proprio quello su cui avevamo investito e creduto tanto.
Ho sempre avuto poca simpatia per i leader, e continuo ad essere convinto che come aggregatori di interessi dovrebbero prima preoccuparsi di discutere, criticare, e poi suggerire soluzioni organiche, trasparenti, lineari; ma un Italia lacerata in cui destra e sinistra diventano la stessa cosa, dove riformismo e conformismo vanno a braccetto e Partito diventa un eresia, costruire una linea politica diviene una missione suicida con possibili strascichi schizzofrenici.

domenica 9 dicembre 2012

Privilegio

Giunge veloce il tempo del voto, e sembra scontato che molti (probabilmente troppi) questa voltà non parteciperanno. Di quelli che parteciperanno si sa solo che lo faranno sospinti dall'idea che sia giusto cercare quel rinnovamento capace di mettersi alle spalle la "vecchia politica". Tecnici, primarie, parlamentiadi,  sono solo gli strumenti che istituzioni, partiti e movimenti sembrano adottare per convicerci che qualcosa presto cambierà in meglio.
Il meglio in democrazia ha sempre troppe faccie, e visti questi tempi che cerchiamo faticosamente di superare, tanti destineranno la propria scheda al Movimento 5 stelle con la sincera convizione che prima di tutto sarà bene ripartire da persone oneste, meglio se con delle idee. La visione è semplice, pulita, leale ed addirittura vincente se ogni  sondaggio posiziona M5S almeno al 18%.
In questo caso idee e persone continauno a contare davvero poco, finiamo per accontentarci di una rappresentanza costruita con giudizio e radicatà onestà, lontani da quel doppiofondo in cui la politica si rifugiava ogni qualvolta fosse chiamata a svolgere il propro ruolo, tutti convinti che indicando cittadini in grado di privarsi di quella cosa che chiamiamo privilegio tutto cambierà.
Tutto giusto, ma la cosa mi intristisce lo stesso perchè finisce per connotare negativamente il privilegio, dimenticandone la parte nobile che si nasconde dietro anni di abusi ed inganni: la responsabilità.

sabato 20 ottobre 2012

Uomini, non eroi

La diffamazione è un reato penale. E' una Legge, come tale discutibile, ma pur sempre un atto legale democraticamnete riconosciuto. Le vicissitudini che circondando Sallusti e lo vedeno alle porte del carcere mi hanno impressionato. Ho difronte l'immagine di un uomo vittima di se stesso, del proprio narcisimo, poco supportato dai fatti e sopratutto da quella corporazione giornalistica che grida alla scandalo ed alla vergogna. E' incredibile come l'Ordine e i Colleghi più disparati siano accorsi in difesa di idee e principi senza misurarsi con la vicenda per cui il direttore è stato considerato colpevole.

In tempi come questi in cui non esiste quotidiano, tv o radio che non si scagli contro qualsivoglia casta o privilegio assisto sbigottito ad una "lotta" ideologica che trasforma e riabilita il peggior giornalismo in vittima di un sistema arcaico ed ingiusto, mischiando ogni cosa in un vortice di emozioni, diritti e fin troppo pochi doveri.
Riflettendici è un po' la parabola di questi anni, in cui ogni evento finisce schiacciato, tritato e riasseblato, pronto a presentarci ogni volta nuovi eroi al servizio dell'umanità, quando invece ora siamo alla ricerca di uomini che prima di tutto sappiano misurarsi con i propri errori.

Cortocircuito

Alla fine dunque ci siamo. Assisto impotente ad un appiattimento culturale per me inverosimile. I fatti di Genova me lo mostrano crudamen...